Qualcosa su di me

La mia foto
Napoli, Napoli, Italy
Mi chiamo Andrea Costa e sono nato il 17 aprile 1991 a Napoli. Ho deciso di aprire questo spaces, per condividere i libri che leggo, magari commentarli anche. Vorrei tanti lettori, in modo da far da poter scambiare opinioni e migliorare dal punto di vista intellettuale.

Lettori fissi

13/02/09

Immanuel Kant

Come ho descritto in un articolo precedente, i miei autori o libri non hanno uno spazio temporale ben preciso. Da Orazio a Imanuel Kant. Stavo leggendo il libro è questo autore che scriverò qui sotto mi ha colpito maggiormente.
La sua frase per antonomasia sua è : "il cielo stellato sopra di me la legge morale dentro di me". Ha scritto anche altri libri, per esempio "Che cosa significa orientarsi in un pensiero". Mi ricordo questo titolo perche' ho deciso di regalarlo ad una mia amica che sicuramente lo apprezzerà.
Spero che oltre a lei, venga apprezzato da chi lo leggerà.


Immanuel Kant (22 aprile 1724 – 12 febbraio 1804) è stato un filosofo tedesco

Fu uno dei più importanti esponenti dell'illuminismo tedesco, e anticipatore - nella fase finale della sua speculazione - degli elementi fondanti della filosofia idealistica

Ad avviso di molti, uno dei principali meriti della dottrina kantiana è di aver superato la metafisica dogmatica operando una rivoluzione filosofica tramite una critica della ragione che determina le condizioni e i limiti delle capacità conoscitive dell'uomo nell'ambito teoretico pratico ed estetico

La Critica della ragion pura pubblicata nel 1781, definisce il metodo del filosofare a cui Kant si atterrà anche nelle due opere successive come pure in altre opere posteriori. La sua attività di pensatore riguarda prevalentemente la gnoseologia l'etica e l'arte ma ebbe in gioventù anche interessi scientifici, che coltivò sino al 1760

L'ipotesi cosmogonica della nebulosa primitiva, esposta nel 1755 nella Storia universale della natura e teoria del cielo (che egli desunse da Buffon), ebbe molta fortuna e gli diede fama anche nel campo dell'astronomia Essa fu fatta propria da Laplace che la rielaborò e la rilanciò nel 1796


Le opere:


« L'avvertimento di David Hume fu proprio quello che, molti anni or sono, primo mi svegliò dal sonno dogmatico e dette un tutt'altro indirizzo alle mie ricerche nel campo della filosofia speculativa »




Le opere fondamentali di Kant sono nel periodo cosiddetto "critico" (dal 1771 al 1790): la Critica della ragion pura (1781), la Critica della ragion pratica (1788) e la critica del giudizio (1790), precedute da una notevole serie di opere minori in età giovanile. In seguito Kant si orientò sempre di più verso gli interessi teologici e di questo periodo sono due opere fondamentali del suo pensiero maturo: La religione nei limiti della semplice ragione, del 1793, e La metafisica dei costumi, del 1797. Segue nel 1798 L'antropologia dal punto di vista pragmatico e altre opere minori.


La fase precritica:

La filosofia di Kant si può dividere in un due grandi momenti: il periodo definito precritico, che arriva fino alla "gran luce" del 1769 propedeutica alla pubblicazione della Dissertatio nel 1770 e il periodo critico, che si estende dalla Dissertatio fino alla morte e vede in particolare la pubblicazione delle tre critiche, ossia la Critica della ragion Pura, la Critica della ragion Pratica e la Critica del Giudizio.

Durante la fase pre-critica Kant mantiene un pensiero filosofico che oscilla fra il Razionalismo e l'Empirismo di Hume, fino alla celebre rivoluzione copernicana, come lui stesso la definì, che aprirà una nuova era per la filosofia. Nel 1770 pubblica infatti la dissertazione De mundi sensibilis atque intellegibilis forma et principiis, comunemente chiamato solo Dissertazione, che lascia intravedere i primi originali sviluppi della nuova filosofia critica Kantiana. La Dissertazione segna pertanto una tappa fondamentale per lo sviluppo del suo pensiero, e può essere vista come una sorta di trait d'union tra la vecchia filosofia e la nuova filosofia critica che Kant delineerà compiutamente, ben dodici anni dopo, con la Critica della ragion pura nel 1781


La critica della ragion pura


« La ragione umana, anche senza il pungolo della semplice vanità dell'onniscienza, è perpetuamente sospinta da un proprio bisogno verso quei problemi che non possono in nessun modo esser risolti da un uso empirico della ragione... e così in tutti gli uomini una qualche metafisica è sempre esistita e sempre esisterà, appena che la ragione s'innalzi alla speculazione »



(Immanuel Kant,Critica della ragion pura 1781)

Il tema principale trattato da Kant nella Critica ragion pura è quello della conoscenza e della correlazione sussistente tra metafisica e scienza. Gli interrogativi che si pone sono come siano possibili la matematica e la fisica in quanto scienze e la metafisica in quanto disposizione naturale e in quanto scienza.

Il giudizio corrisponde per Kant all'unione di un predicato ed un soggetto tramite una copula, distingue quindi i giudizi analitici a priori, i giudizi sintetici a posteriori e i giudizi sintetici a priori.


Il giudizio sintetico a posteriori

Nel giudizio sintetico, così chiamato perché si può pronunciare in sintesi, in unione con l'esperienza, la connessione fra soggetto e predicato viene pensata "senza identità": il predicato contiene qualcosa di nuovo che non è compreso nel concetto del soggetto, come nell'esempio "alcuni corpi sono pesanti". Infatti alcuni corpi sono pesanti altri leggeri. Si ricordi che l'esempio kantiano si rifà ad Aristotale per il quale alcuni corpi - terra e acqua - sono per natura pesanti, mentre altri - aria e fuoco - sono per loro natura leggeri. Il predicato, nel giudizio sintetico, è collegato al soggetto in forza dell'esperienza: i giudizi sintetici sono dunque a posteriori, si possono pronunciare solo dopo aver fatto esperienza e per questo essendo collegati alla sensibilità non hanno universalità e necessità ma sono estensivi della conoscenza. Questo è il tipo di giudizio usato dagli empiristi.

Il giudizio sintetico a priori

Il giudizio sintetico a priori è un giudizio che, pur ampliando la conoscenza, perché aggiunge qualcosa di nuovo nel predicato, che in questo caso non è implicito nel soggetto (come nei giudizi analitici), presenta i caratteri di universalità e necessità, perché non deriva dall'esperienza (è infatti a priori).

L'esempio kantiano di 7 più 5 eguale 12 mostra come il predicato (dodici) non è compreso come nei giudizi analitici nel soggetto, ma c'è qualcosa di più: il rapporto di addizione che in 5 e in 7 presi di per sè non hanno. Dunque questo giudizio per un verso non dipende dall'esperienza, e quindi è necessario ed universale, e per altro verso nel predicato dice qualcosa che non era contenuto nel soggetto e quindi è estensivo della conoscenza.

La validità universale e la certezza che caratterizzano il giudizio sintetico a priori derivano infatti dalla possibilità dell'intelletto di «uscire a priori dal concetto», rivolgendosi all'intuizione pura attraverso la «guida» di un termine medio, cioè dello schema prodotto dall'immaginazione trascendentale. Quando cioè si passa da un concetto ad una intuizione per ottenere un giudizio sintetico a priori occorre stabilire un rapporto con la forma del senso esterno (forma pura spaziale) da parte del senso interno (forma pura temporale) autodeterminata intellettualmente attraverso l'identità dell'appercezione.

I giudizi sintetici a priori sono i fondamenti su cui poggia la scienza poiché accrescono il sapere (in quanto sintetici), ma non necessitano di essere riconfermati ogni volta dall'esperienza perché universali e necessari. In questo caso Kant ha una posizione nettamente distinta da quella di Hume in quanto il filosofo scozzese, essendo empirista, riterrebbe necessaria ogni volta una conferma giacché a suo parere non si sarebbe in grado di dire che le cose in futuro non potrebbero cambiare.

La conoscenza umana

Giunto a questo punto Kant stabilisce un nuovo sistema conoscitivo per determinare da dove arrivino i giudizi sintetici a priori, se questi non derivano dall'esperienza. Questa nuova teoria della conoscenza è una sintesi di materia (empirica) e forma (razionale ed innata). La prima è la molteplicità caotica e mutevole delle impressioni sensibili che provengono dall'esperienza. La seconda è invece l'insieme delle modalità fisse attraverso cui la mente umana ordina tali impressioni. In questo modo la realtà non modella la nostra mente su di sé, ma è la mente che modella la realtà attraverso le forme tramite cui la percepisce. La realtà come ci appare in base alle forme a priori è il fenomeno, mentre la realtà così com'è è indipendente da noi ed è per noi inconoscibile. Quest'ultima è detta noumeno.


Kant definisce quindi la conoscenza come ciò che scaturisce da tre facoltà: la sensibilità, l'intelletto e la ragione. La sensibilità è la facoltà con cui percepiamo i fenomeni e poggia su due forme a priori, lo spazio e il tempo. L'intelletto è invece la facoltà con cui pensiamo i dati sensibili tramite i concetti puri o categorie. La ragione è la facoltà attraverso cui cerchiamo di spiegare la realtà oltre il limite dell'esperienza tramite le tre idee di anima, Dio e mondo. Su questa tripartizione del processo conoscitivo si articola la Critica della ragione pura suddivisa in dottrina degli elementi e dottrina del metodo. La prima si occupa di studiare le tre facoltà conoscitive tramite l'estetica trascendentale (sensibilità) e la logica trascendentale, a sua volta suddivisa in analitica (intelletto) e dialettica (ragione).

La suddivisione della Critica della ragion pura può essere così schematizzata:





L'etica e l'imperativo categorico

Kant distingue fra imperativi ipotetici e imperativo categorico. Il rischio di una morale utilitaristica come quella cui più tardi pervenne l'inglese Bentham portò il filosofo a cercare il fondamento della morale in un comando non condizionale.


Silhouette di Kant

Dimostrato che la ragione che pretende di parlare dell'incondizionato cade in contraddizione, una fondazione razionale e non contraddittoria della morale doveva escludere un imperativo non condizionale. Kant arriva a concludere che l'etica non è fondabile razionalmente ma che è un imperativo categorico che la volontà deve darsi liberamente.

Il fondamento dell'etica è lo stesso che fonda la ragione, quel principio di non contraddizione scoperto da Aristotale che, prima che una legge logica, è una legge etica dell'Io. Una vita conforme alla ragione equivale ad un obbligo di coerenza che vale sia nel pensiero che nell'essere. L'Io è libero di negare questo principio, ma si limita a vivere nel mondo dell'opinione (non razionale) e della stoltezza (non etico).

Non si tratta soltanto di una libera scelta, variabile da io a io, l'etica kantiana rientra nell'ambito filosofico e necessario; il rispetto della morale deducibile come una necessità dell'essere in altre costruzioni filosofiche, è qui impedito con l'esclusione di comandi condizionali e non.

Kant parte dalla volontà di dimostrare che l'io è legato al rispetto dell'etica, che considera un giudizio sintetico a priori che la ragione, dunque, conosce e può dimostrare. Lo vuole dimostrare perché è convinto che l'io è legato al rispetto dell'etica, quanto lo è del paradosso della sofferenza del giusto.

Non stupisce che postuli l'esistenza di un imperativo categorico o voce della coscienza, simile al demone socratico che universalmente in ogni individuo spinge al rispetto di regole morali universali che si traducono in azioni differenti fra i vari contesti. Così il giudizio etico come il giudizio estetico varia nel tempo a seconda della situazione, ma è sempre riconducibile in ogni individuo all'applicazione di regole universali che fanno agire per il giusto e contemplare per il bello, senza variare da individuo a individuo: le regole etiche ed estetiche sono le stesse in ogni individuo ed egualmente la loro applicazione: qualunque individuo purché razionale, nella stessa situazione, avrebbe fatto la stessa cosa e considerato bella una certa opera.

La ragione diventa l'ambito dell'universalità di tutti i giudizi, etici ed estetici, del loro tradursi in atti pratici. Il metro di valutazione del giusto può variare al massimo da una generazione di umani ad un'altra, nel senso della loro applicazione; le regole alla base sono sufficientemente generali da considerarle comuni agli esseri umani di ogni spazio e tempo, trascendentali ad ogni spazio ed ad ogni tempo.

Come si vede le scelte etiche e la fruizione del bello che sono tradizionalmente fatti personali, sono ricondotti a principi collettivi: Kant non ha mai parlato dell'io singolare (sé stesso o gli altri, ad es.); quando parlava dell'io, si riferiva sempre all'io trascendentale che da Duns Scoto in poi è rimasto il limite della filosofia.

Un'etica con principi indipendenti dallo spazio e dal tempo (universali per entrambi) che sono posti in essere dall'io, viene prima ossia a priori dell'io, e si può pensare innata. Invece, l'applicazione dei principi dipende dallo spazio e dal tempo, dal contesto in cui l'Io si trova ad agire; tuttavia, spazio e tempo sono anch'essi realtà trascendentali, rispetto agli individui: l'etica dipende dallo spazio-tempo solamente in un contesto universale, comune a tutti(intersoggettivamente); nei sogni, che sono uno spazio-tempo soggettivo, diverso fra individui, ognuno è libero dall'etica entro certi limiti). Se l'individuo non domina su questa etica, poiché L'Io soggiace a principi universali, nemmeno ne è dominato, dato che l'io il protagonista del Regno dei Fini dove ogni persona è il fine delle azioni degli altri.

Scontrandosi con l'affermazione della libertà dell'uomo, l'etica kantiana non ha trovato esseri che necessariamente agiscono per il giusto; ha creato un ambito, quello della ragione, in cui l'io entrato liberamente ha accettato di "farsi costringere" dalla ragione al rispetto di certe regole, pena la perdita del godimento del bello che è negato ai bruti e di una consolante universalità dell'agire umano.

L'imperativo categorico in questo sistema è un postulato non fondabile, che forse lo sarebbe altrove; per Kant era prima di tutto un dato di fatto per il pietismo tedesco, la forte educazione materna che lo portavano ad avere un forte senso etico. Filosofiche sono però le sue conseguenze: l'idea per la quale sarebbe contraddittoria una ragione che comanda cose che siamo costretti a raggiungere, da cui la fondazione della libertà della volontà umana:

  • che comanda cose irraggiungibili la cui affermazione si scontra con il paradosso della sofferenza del giusto, e richiede una vita ultraterrena nella quale si afferma la giustizia fra gli io, ripagando le ingiustizie, bloccando l'attività degli ingiusti, riservando il tempo e la libertà a chi ha scelto dalla parte della ragione di vivere secondo giustizia: da cui l'immortalità dell'anima;

  • l'esistenza di un Dio, più forte degli altri io, con il ruolo di porre una compensazione alle ingiustizie terrene e privare gli empi della libertà, impedendo il ripetersi di soprusi ultraterreni che riproporrebbero la contraddizione all'infinito; una divinità la cui azione si svolgerebbe principalmente o esclusivamente nell'altra vita, sensibilmente diversa dalle concezioni tradizionali che non concepirono mai una sorta di "Provvidenza ultraterrena".

Dunque, l'imperativo categorico è un dato di fatto, un postulato, un giudizio sintetico a priori, un comando di razionalità che viene dalla ragione in quanto essa è universale.

La filosofia della storia



« Ogni cultura e arte, ornamento dell'umanità, e il migliore ordinamento sociale sono frutti dell'insocievolezza, la quale si costringe da sé a disciplinarsi ed a svolgere quindi compiutamente con arte forzata i germi della natura »



(Immanuel Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico 1784)

La prima opera d'interesse per la concezione della filosofia della storia in Kant è l'Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico del 1784 Compaiono nel titolo le concezioni illuministe della storia considerata universale, nel senso che si prescinde dalle singole storie delle singole nazioni, volendo indicare la storia come appartenente a tutti gli uomini senza distinzioni: quindi essa non può essere che universale e cosmopolitita così come nel suo Saggio sui costumi la definiva Voltaire a cui d'altronde risale anche l'espressione filosofia della storia (in La philosophie de l'histoire del 1765

La riflessione kantiana sulla storia troverà poi un ulteriore approfondimento nello scritto Per la pace perpetua un progetto filosofico del 1795, dove si terrà conto della situazione storica contemporanea profondamente mutata con lo scoppio della Rivoluzione francese

Il discorso sulla filosofia della storia troverà infine la sua conclusione ne Il conflitto delle facoltà (1798), dove si analizza lo scontro tra le facoltà universitarie per conquistare il primato nel mondo accademico. Quest'ultimo scritto sembrerebbe estraneo al tema della filosofia della storia se non si considerasse quanto dice Kant in un breve frammento: «Se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio.» Qui comincia ad apparire una certa vena di scetticismo per cui Kant inizia, con la visione del Terrore Giacobbino sotto gli occhi, ad avere dei dubbi sull'effettivo valore della Rivoluzione francese.



Idea per una storia universale...

In particolare nell' Idea per una storia universale... Kant afferma che «poiché gli uomini, nei loro sforzi, non si comportano semplicemente in modo istintivo, come gli animali, ma neppure in modo prestabilito [...] di loro non pare possibile una storia sistematica, come ad esempio quella delle api o dei castori per cui non esiste una storia progressiva ed eterna, quasi regolata da quelle stesse leggi che regolano la natura poiché l'uomo è in grado di costruire liberamente la sua storia ma non è detto che lo faccia perseguendo il bene. Aggiunge Kant: «non si può trattenere un certo fastidio a vedere rappresentato il loro [degli uomini] fare e omettere sulla grande scena del mondo, e pur con l’apparenza, di tanto in tanto, della saggezza [...] si trova il fare e omettere intessuto di vanità infantile», tanto che le azioni umane, sia pure talora guidate dalla razionalità, il più delle volte sembrano dirette a mettere in opera il male, quasi senza rendersene conto, come fanno i bambini nella loro ingenuità. Allora «Per il filosofo non c’è altra via d’uscita [...] che quella di tentare se, in questo assurdo andamento delle cose umane, possa scoprire uno scopo della natura»: il filosofo cioè non può rinunciare ad avere fiducia negli uomini e quindi si domanda se alla fine, nonostante l'infantile e stupido agire degli uomini , non vi sia una sorta di laica provvidenza storica che, incarnatasi nella natura, guidi gli uomini e le loro azioni verso i migliori fini («tutte le disposizioni naturali di una creatura sono destinate a dispiegarsi un giorno in modo completo e conforme al fine») . Una storia dove gli uomini come marionette sono manovrati per mettere in atto «una storia secondo un determinato piano della natura» che persegue i suoi fini anche contro la stessa volontà degli uomini


1 commento:

Anonimo ha detto...

L'unica cosa che posso dire è che la curiosità e il pensiero critico sviluppano le potenzialità del nostro cervello....continua cosi!!!